La parola che abbiamo scelto questa settimana è “confine”, parola di origine dotta derivata dal latino confinis (confinante), unione di finis (limite) e del prefisso con-.
Cercando in rete l’etimologia della parola mi sono imbattuto in una spiegazione interessante del perchè al termine latino finis che era abbastanza esplicativo di suo sia stato aggiunto il con- e spulciando in giro ne è uscito fuori che proprio in quel con si trova la chiave per capire il significato implicito della parola.
Il con- prima di fine unisce. Unisce chi sta di al qua della delimitazione che il termine stesso genera. Crea un’ aggregazione sulla base di un limite, che diventa così un concetto inclusivo, perché permette una connessione tra compagni di una barricata che può essere fisica, ideologica o completamente inventata, ma allo stesso tempo esclusivo perchè tutti quelli che se ne ritrovano fuori diventano gli “altri”.
La lingua è così bella e insidiosa perché è una cosa viva: avreste mai detto invece che solo tre lettere ci separano dall’ “affine”?
E qui sorprendentemente, magari dopo anni passati a scrutare l’orizzonte minaccioso dalla torre di guardia, si scopre che dall’altra parte c’è l’affine.
Un affine che il “confine” ci indica essere dentro casa, ma che in realtà con tutta probabilità è anche e forse soprattutto fuori.
Anche perché, dal momento in cui non ci conosciamo, come possiamo capire cosa abbiamo in comune e se con-dividiamo qualcosa?
E’ infatti il limite perimetrale tra me e l’altro che ci rende entità distinte e quindi capaci di incontrarci, ma a stabilire chi sta da questa parte e chi da quella molto spesso c’è qualcosa di molto piccolo, messo lì come un sassolino a bloccare la porta, qualcosa che non si vede ma influisce enormemente.
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