OSPITALITÀ – 20 giugno, giornata mondiale del rifugiato

Il 20 giugno è la Giornata internazionale del rifugiato, indetta dall’ONU.

Venne celebrata per la prima volta il 20 giugno 2001, nel cinquantesimo anniversario della Convenzione di Ginevra del 1951 sullo statuto dei rifugiati

Come si legge sul sito dell’ONU Italia: “Al fine di intensificare gli sforzi per prevenire

e risolvere i conflitti e contribuire alla pace e alla sicurezza dei rifugiati, l’Assemblea

Generale delle Nazioni Unite ha scelto di celebrare la Giornata Mondiale del

Rifugiato il 20 giugno di ogni anno con la Risoluzione 55/76.  

Una giornata per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla condizione di quasi 80 milioni di persone, secondo gli ultimi dati disponibili alla fine del 2019 , che, costrette a fuggire da guerre e persecuzioni, lasciano i propri affetti, la propria casa e tutto ciò che un tempo era la loro vita per cercare salvezza altrove. Tra questi ci sono 26 milioni di rifugiati, oltre la metà dei quali ha meno di 18 anni

Secondo UNHCR nel mondo ogni 2 secondi 1 persona è costretta a spostarsi a causa di conflitti o persecuzioni. Sono milioni gli apolidi, a cui è stata negata la nazionalità e che non hanno accesso ai diritti fondamentali come l’istruzione, l’assistenza sanitaria, l’occupazione e la libera circolazione. La situazione è peggiorata a partire dal 2011 con l’avvio della guerra in Siria, la quale ha innescato una delle peggiori crisi umanitarie della storia: più di 11 milioni di sfollati, l’equivalente del 45% dell’intera popolazione siriana. Solo nel 2018 sono stati segnalati globalmente più di 110.000 bambini rifugiati non accompagnati e separati dai genitori e familiari.

In più a causa della pandemia Covid-19 e del conseguente lockdown, in molti Paesi i rifugiati sono rimasti isolati, privi di risorse economiche e spesso senza accesso a ogni tipo di assistenza.

Tenendo presente che oggi l’85% dei rifugiati è ospitato da Paesi in via di sviluppo, per lo più territori affetti dalla malnutrizione.

Ma chi è il rifugiato? I termini “rifugiato” e “migrante” sono intercambiabili?

No. La parola ‘migrazione’ implica spesso un processo volontario, come, per esempio, quello di chi attraversa una frontiera in cerca di migliori opportunità economiche. Questo non è il caso dei rifugiati.

Con il termine rifugiato ci si riferisce ad una precisa definizione legale e a specifiche misure di protezione stabilite dal diritto internazionale.

La loro situazione è spesso talmente rischiosa e intollerabile che attraversano i confini nazionali in cerca di sicurezza nei paesi limitrofi, e diventano quindi internazionalmente riconosciuti come “rifugiati”, ossia come persone bisognose di assistenza da parte degli Stati, dell’UNHCR e delle organizzazione competenti.

Come sono protetti i rifugiati nel quadro del diritto internazionale?

Il regime giuridico specifico che tutela i diritti dei rifugiati è denominato “protezione internazionale per i rifugiati.” 


L’articolo 14 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo afferma il diritto di ciascun individuo di chiedere e beneficiare dell’asilo. Tuttavia, un contenuto chiaro alla nozione di asilo non era stato dato a livello internazionale fino all’adozione della Convenzione  di Ginevra del 1951 relativa allo Status dei Rifugiati e l’UNHCR fu incaricato di supervisionarne l’implementazione.

La Convenzione di Ginevra del 1951 e il relativo Protocollo del 1967, così come altri strumenti legali regionali, quali ad esempio la Convenzione del 1969 dell’Organizzazione dell’Unità Africana (OUA) che disciplina gli aspetti specifici dei problemi dei rifugiati in Africa, costituiscono le fondamenta del moderno regime di protezione dei rifugiati. Stabiliscono una definizione universale di rifugiato ed enucleano i diritti e i doveri fondamentali dei rifugiati.


Le norme contenute nella Convenzione di Ginevra del 1951 rimangono il principale standard internazionale con il quale si valuta qualsiasi misura di protezione e di trattamento dei rifugiati. La disposizione più importante ivi contenuta, il principio di non-refoulement (letteralmente, non respingimento) di cui all’Articolo 33, è la colonna portante di questo sistema. Secondo tale principio, i rifugiati non possono essere espulsi o rimpatriati verso situazioni dove la loro vita o la loro libertà potrebbero essere a rischio.

Le storie di rifugiati appartengono alla nostra cultura: un eroe è costretto a fuggire dalla propria casa e attraversare un mondo straniero, affrontare le difficoltà del viaggio, relazionarsi con le differenze, in cerca di salvezza.
Incontra degli stranieri che con lui sono gentili o no.

Una storia raramente a lieto fine, tante sono le vittime.

Se la terra fosse sicura nessuno rischierebbe la vita in una traversata disperata,

nessun genitore metterebbe in mare un bambino se il luogo da cui proviene non

offrisse alcun tipo di speranza futura.

Il 20 giugno è un’occasione per ricordarcene.

Per l’occasione abbiamo raccolto le testimonianze di due ospiti e amici della comunità di Capodarco di Roma: Luca e Makan. Il primo è un ragazzo con disabilità, residente nella comunità e volontario presso il CESC project. Il secondo è un ragazzo maliano, ormai in Italia da sei anni, operatore volontario del servizio civile, anche lui presso il CESC project , che ha partecipato lo scorso anno al progetto Sortirne Insieme, un  percorso formativo di 10 mesi promosso dallo stesso ente, di supporto e accompagnamento all’inclusione sociale attiva:

LUCA

Ciao Luca, parlami di te, da dove vieni e di cosa ti occupi?

Ciao chiamo Luca e sono nato in Italia, a Roma. Sono un ragazzo solare, faccio volontariato al CESC Project e ho fatto l’attore nel film “Piovono mucche”.

Capodarco è la tua casa, come ti trovi?

Per quanto riguarda la comunità mi trovo bene a parte purtroppo questo periodo in cui siamo tutti chiusi in casa per colpa del Covid.
 

Parlando di amici, chi è Makan?

Makan è un ragazzo bravo, solare, disponibile e molto buono.

Un ultima domanda: cos’è per te l’ospitalità?

Per me invitare un ospite è stare insieme a lui, scherzare, parlare. E’ stare insieme e condividere un solo istante come tutta la vita.

MAKAN


Makan, 23 anni e vieni dal Mali… Da quanto sei in Italia e come sei arrivato?

 
Ciao, sono in Italia da sei anni. Non so cosa intendi con “come sei arrivato”, io sono arrivato con i barconi, quei barconi che portano altri migranti. Sono arrivato così. Dalla Libia, lì mi sono messo in mare.

Come ti trovi e di cosa ti occupi?

Qui in Italia mi trovo così così…faccio parte insieme ad altri 14 ragazzi e ragazze del percorso di formazione “Sortirne Insieme”.

Che tipo di difficoltà hai trovato da noi?

Sono venuto che avevo 17 anni e non avevo nessuno in questa parte di mondo e sai bene come sono alcuni italiani… scusa se ti dico così… è perché non è facile.

Sì, hai ragione… ma fortunatamente non tutti sono così. Parlami di Luca.

Luca…allora, Luca è un amico…non voglio aggiungere altro… sicuramente Luca è un vero amico.


Infine… che cos’è per te l’ospitalità?

Dare possibilità alle persone che hanno più bisogno di sentirsi a casa.

Giulia e Gianmarco

Volete scoprire qualcosa di più su Luca e Makan? Guardate questo breve video!

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