Obbedire significa semplicemente prestare ascolto, tenere in considerazione le indicazioni o le volontà di qualcuno, fino al punto di farle prevalere sulle proprie, semplicemente come atto di fiducia o, meglio ancora, come atto di amore.
In latino oboedentia viene da ob-audio, “do ascolto” obbedire vuol dire in primo luogo prendere “sul serio” il discorso dell’altro. “Dare ascolto” è diverso che ascoltare: non coincide con il generico porgere orecchio alle chiacchiere degli altri, ma con l’assunzione delle parole dell’altro come potenzialmente normative per sé. In questo senso l’obbedire è un dipendere.
Nella convinzione che la via giusta non la si ritrova mai da soli. Ma l’obbedienza oltre a essere dipendenza è scelta: la si dà.
Le domande da porsi sull’obbedienza sono due:
Cosa s’intende per obbedienza?
Qual’è la natura dell’obbedienza?
L’obbedienza è l’azione di obbedire soprattutto nelle organizzazioni gerarchiche. Riguarda l’adempimento di un mandato o di un ordine.
Questa parola è usata in diversi contesti, come nella religione, nell’esercito, nella famiglia o nell’istruzione.
L’obbedienza nel esercito consiste nella esecuzione pronta, rispettosa e leale degli ordini attinenti al servizio ed alla disciplina, in conformità al giuramento prestato.
Naturalmente esistono strettissime connessioni tra la violenza istituzionale e antistituzionale, e tali connessioni hanno segnato la storia, recente e non, del nostro paese. Essa, infatti, ci offre molteplici esempi di come soggetti diversi possano essere spinti a pratiche di violenza, risultato di obbedienza e acquiescenza all’autorità, costituita e non.
Un esempio fu la triste vicenda del massacro di Jozefow, nel luglio del ’42, in cui il Battaglione 101 uccise l’intera popolazione ebrea di un villaggio polacco. Gli uomini del battaglione, posti dal comandante di fronte alla scelta di obbedire o no agli ordini superiori (riconosciuti come moralmente difficili da accettare, soprattutto da uomini non addestrati ma uomini comuni), in maggioranza scelsero di obbedire agli ordini e operare il massacro uccidendo donne, anziani e bambini e deportando una piccola parte di essi.
Questo comportamento attuato da quei militari riservisti, secondo Browning, nasce dall’innata e volontaria sottomissione all’autorità, in un clima di terrore e in un contesto di disumanizzazione dell’altro operata dalla propaganda di regime.
Un altro fattore che rende più cogente l’ordine impartito e rafforza lo spirito di obbedienza e acquiescenza è la presenza fisica dell’autorità.
L'esperimento di Milgram
Di questo parla Stanley Milgram che nel suo esperimento sul fenomeno dell’obbedienza all’autorità, conferma come molti soggetti possano infliggere sofferenze sulla base di un’esigenza di obbedienza. Milgram misurava, infatti, questa capacità attraverso l’utilizzo di attori nel ruolo della vittima, di cui il soggetto somministratore (la cavia), sentiva soltanto le urla provenienti da una stanza adiacente. L’esperimento consisteva nel somministrare scariche elettriche via via più forti, ogni qual volta l’attore rispondesse erroneamente a una domanda che la cavia stessa doveva porre.
Le numerose ricerche che hanno successivamente utilizzato il paradigma di Milgram (come quelle di David Rosenhan), hanno tutte confermato i risultati ottenuti dallo studioso, che sono stati ampiamente discussi anche nell’ambito di quel cospicuo filone di studi interessati a ricostruire i fattori che hanno reso possibile lo sterminio ad opera dei nazisti.
Studio comportamentale sull’obbedienza di Stanley Milgram – I grandi esperimenti di psicologia Nr. 6