Potrebbe sembrare strano che Primo Levi – testimone, razionalista, moralista, devoto dello scrivere chiaro – sia stato anche uno scrittore nato sotto il segno della meraviglia, un discepolo del mistero.
Luglio 1969, il primo passo dell’uomo sulla Luna, inchiodò circa 900 milioni di persone, tra cui venti milioni di italiani, davanti alla televisione. In un articolo pubblicato il giorno successivo sul quotidiano La Stampa, intitolato “La Luna e Noi”, Primo Levi marcò la netta differenza fra lo stupore degli addetti ai lavori e quello dei cittadini comuni, notando come l’avvicendarsi delle tecnologie e delle grandi conquiste avesse assuefatto larga parte del pubblico, inibendo la sua capacità di meravigliarsi.
“Noi molti, noi pubblico, siamo ormai assuefatti, come bambini viziati: il rapido susseguirsi dei portenti spaziali sta spegnendo in noi la facoltà di meravigliarci, che pure è propria dell’uomo, indispensabile per sentirci vivi. Pochi fra noi sapranno rivivere, nel volo di domani, l’impresa di Astolfo, o lo stupore teologico di Dante, quando sentì il suo corpo penetrare la diafana materia lunare, «lucida, spessa, solida e pulita». Peccato, ma questo nostro non è tempo di poesia: non la sappiamo più creare, non la sappiamo distillare dai favolosi eventi che si svolgono al di sopra del nostro capo”.
La poesia a cui Levi fa riferimento è una delle tante cose che oggi leghiamo al concetto di meraviglia, ma che già dall’antichità costituisce un tema centrale della filosofia occidentale, insieme allo stupore di fronte alle cose e alla capacità di lasciarsi sorprendere. Levi traccia un’idea della meraviglia come «propria dell’uomo», come elemento essenziale di sopravvivenza agli eventi traumatici e faticosi della vita.
Levi è l’uomo che nel ‘43 fu arrestato dai fascisti in Valle d’Aosta, venendo prima inviato in un campo di raccolta a Fossoli e nel Gennaio del ’44 venne deportato nel campo di concentramento di Auschwitz in quanto ebreo.
Scampato dal lager per tutto il resto della sua vita si dedicò con impegno al compito di raccontare le atrocità viste e subite, e il vuoto interiore lasciato da questa esperienza.
Nel libro “Se questo è un uomo” Levi non si dimentica delle cose importanti e belle della vita come dell’amico Alberto, con il quale cammina nelle violenze della vita “spalla a spalla”, per non dimenticare che la violenza non è l’ultima risposta dell’esistenza umana, ma che l’amore è l’unico orizzonte di nascita e rinascita possibile.