“Amare senza saper amare ferisce la persona che amiamo”. Thich Nhat Hanh
Fin dagli albori della civiltà l’uomo ha avuto la tendenza o meglio definirlo il bisogno di raccontare dell’amore. Lo ha fatto trasformando sotto forma di arte le sue pene e i suoi desideri di sentirsi amato, ma soprattutto di amare. Numerosa è la letteratura, la scultura, la pittura, la musica, la poesia o la religione che ha cercato di catturarne e riprodurne il senso più intimo, cercando anche di essere l’esempio e la voce di chi le ammirava.
Ma cos’è l’amore?
È bisogno o è propensione dell’essere umano? La capacità di amare è innata o è un qualcosa che va allenato e fatto crescere? Sono domande alle quali si fa sempre molto fatica a rispondere e che in un certo senso lasciano aperta la porta al dubbio e all’incompiutezza del certo. Per parlare della parola Amore non si può non pensare al noto libro “L’arte di amare” di Erich Fromm, nato a Francoforte sul Meno, 23 marzo 1900 e morto a Muralto, 18 marzo 1980. È stato uno psicologo, psicoanalista, filosofo ed accademico tedesco. L’amore secondo Fromm va inteso come arte che va appresa e costantemente riadattata allo scorrere della vita. Imparare ad amare in modo maturo e cosciente vuol dire bandire possesso o condizioni. L’amore è prima di tutto preoccupazione per la vita, è cura e desiderio. Attraverso lo studio di Nietzsche, Fromm mette in luce come l’amore debba essere appreso al pari di qualsiasi altra arte. Rifacendosi alla Gaia Scienza di Nietzsche coglie una definizione precisa di ciò che egli intende per amore.
“Il primo passo è convincersi che l’amore è un’arte così come la vita è un’arte: se vogliamo sapere come amare, dobbiamo procedere come se volessimo imparare qualsiasi altra arte, come la musica, la pittura oppure la medicina o l’ingegneria.”
Agli albori degli anni ’50, Fromm era uno psicoanalista marxista che in un dato momento prese le distanze dai fondamenti teorici di Sigmund Freud.
Era un intellettuale in qualche modo taciturno, stabilitosi negli Stati Uniti dopo la Seconda Guerra Mondiale. Sulle spalle portava il peso di un divorzio e la morte della sua ultima moglie per suicidio. Fu in questo decennio che decise di trasferirsi in Messico e diventare un attivista per la pace e i diritti delle donne. Voleva cambiare la sua prospettiva di vita, voleva aprirsi al mondo, alla felicità e alla lotta per ciò in cui credeva. Divenne un terapeuta molto influente, strinse amicizia con il presidente Kennedy e trovò l’amore in una donna brillante, Annis Freeman.
Fromm si pose un obiettivo: imparare ad amare, anche per via dei suoi precedenti amori.
“L’amore infantile segue il principio “Amo perché sono amato”. L’amore maturo segue il principio “Sono amato perché amo”. L’amore immaturo dice “Ti amo perché ho bisogno di te”. L’amore maturo dice “Ho bisogno di te perché ti amo”.
Fromm, nella sua opera, fa alcune distinzioni. Evidenzia in prima battuta la differenza tra amore maturo e amore infantile.
Parla di questo sentimento come di un bisogno e del bisogno dell’altro come conseguenza dell’amore. Imparare ad amare infatti richiede prima di tutto sapersi spogliare di tutti i bisogni. Perché accadranno due cose a chi cercherà di avere una relazione per alleviare le proprie carenze: che non sarà mai soddisfatto e che vincolerà l’altra persona a uno stato di schiavitù perenne. Fromm ci ricorda quindi, che una relazione affettiva sana e felice deve essere prima di tutto spogliata dai propri vuoti e dalle proprie dipendenze. Non si può usare l’amore per fuggire dai propri disagi e dalle proprie solitudini. Consiste nell’estinguere dentro di noi l’onnipotenza narcisista, il desiderio di accumulare e di sfruttare gli altri, per raggiungere chi amiamo senza fardelli e paure e poterci offrire così nella nostra pienezza.
L’amore quindi è un’arte molto complessa, che richiede sforzi, pazienza e umiltà.
Va praticata con costanza e con dedizione verso qualcosa che non serve a riempire la propria vita, bensì ad arricchirla.
Mi piace chiudere con il testo della canzone “Tuo padre, mia madre e Lucia”, del cantautore napoletano Giovanni Truppi, presentata in occasione della 72esima edizione del Festival di Sanremo.
Grazie al suo ritmo morbido, pregnante di tenerezza racconta la sua storia con una canzone d’amore, insolita. Descrive un sentimento: “Lucia è mia figlia – ha spiegato Giovanni Truppi – è uno degli spettatori di questo sentimento, insieme alle prime persone che ti vengono in mente. Per me i suoceri e la mia famiglia”.
Un amore quello descritto da Truppi matura, che non si tira indietro dalle fatiche di tutti i giorni, ma che anzi, si arricchisce di memoria e di racconto.
“E se domani tuo padre, mia madre o Lucia ascolteranno queste parole si chiederanno, come mi chiedo anch’io, se questo è un amore risponderò, come rispondo anche a me, che amarti è credere che che quello che sarò sarà con te.”