Genova giovedì 19 Luglio 2001.
Ha inizio proprio in questa data la riunione del G8, forum politico che vedeva coinvolti i capi di governo dei maggiori paesi industrializzati, quali Stati Uniti, Giappone, Germania, Francia, Regno Unito, Italia, rappresentata in quell’anno da Silvio Berlusoni, Canada , Russia (sospesa nel 2014, formalmente uscita nel 2017), Unione europea (rappresentata dal Presidente della Commissione europea e dal Presidente del Consiglio europeo).
Prevedendo che il G8 avrebbe visto la presenza di migliaia di contestatori no-global, Genova era quasi totalmente blindata e protetta da un imponente quantitativo di forze dell’ordine che vedevano coinvolti, per assicurare il tranquillo svolgimento del G8, reparti speciali di Carabinieri, ingenti forze di Pubblica Sicurezza e squadroni di agenti della Guardia di Finanza. Per questa ragione fu approntata una speciale zona rossa che prevedeva la sua invalicabilità con barriere e protezioni sorvegliate da nuclei di agenti. Anche in ambito preventivo i controlli investivano ogni ambito: autostrade, stazioni ferroviarie e porto, vedevano ogni giorno blocchi e respingimenti di individui ritenuti sospetti agitatori.
Nelle quattro giornate del summit, oltre 200 mila persone, aderenti movimenti no-global e ad associazioni pacifiste si riversarono nelle strade della città ligure dando vita a manifestazioni di dissenso di natura pacifica, ma nonostante questo si assistette a gravi atti di violenza ed un evidente abuso della forza da parte della polizia. Proprio durante uno di questi scontri, in piazza Alimonda, venne ucciso il manifestante ventenne Carlo Giuliani.
Dopo l’apertura di un procedimento penale con l’ipotesi di omicidio colposo, nel 2003 Mario Placanica viene prosciolto per uso legittimo di armi e per legittima difesa. Il colpo non sarebbe stato diretto contro Giuliani, ma in aria, e avrebbe raggiunto il ragazzo deviato forse da un sasso lanciato da un manifestante.
Perché dopo vent’anni ha ancora senso parlare del G8 di Genova?
Amnesty International la definì “la più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale”.
Nell’immaginario collettivo gli eventi legati alla tragica morte di Carlo Giuliani e al massacro avvenuto all’interno della scuola Diaz sono fotografie indelebili di una città stravolta e di un’umanità vittima di inaudita violenza. L’identità di Genova ne è uscita gravemente ferita così come la psiche di chi ha partecipato alla manifestazione ed ha visto e subito le cariche delle forze dell’ordine o è stato portato nelle caserme e pesantemente umiliato.
Senza ricordo non c’è storia e senza storia non c’è futuro. Sentiamo oggi il dovere, oltre che il diritto, di fare memoria di un pezzo importante di storia dei movimenti sociali e non violenti, a partire dall’esigenza di un futuro più solidale e più umano. Lo facciamo dopo vent’anni da quei fatti, mentre fuori c’è un terribile bisogno di relazione e di riscrittura della società, di fronte alla possibilità e al pericolo che, la dura lezione della pandemia rimanga inascoltata, un evento lontano e statico, che non genera movimento. In questi venti anni le idee di allora si sono fatte pratiche, conflitti, lotte, alternative concrete, si sono incarnate in tanti territori e comunità. Ma la pandemia ci dimostra che da solo non si salva nessuno, ci dice quanto siamo interconnessi e quanto bisogno c’è di ricostruire uno spazio pubblico nazionale, europeo e globale di lotta, di pensiero, di alternativa e di militanza. Ci dice che non possiamo più solo sostare, ma occorre prendere parte e obbedire ad una coscienza che vuole impegnarsi a perseguire e agire i propri valori.
Genova, infatti, ci parla della necessità di convergenza, sia verso se stessi sia verso l’esterno, dove convergenza vuol dire proprio valicare il rigido confine dell’io certo, che non si lascia più interrogare dal circostante e muovere finalmente i primi passi di apertura alla domanda e al desiderio di qualcosa che non c’è, ma che si potrebbe costruire.