Alma Perrone
Con l’espressione “violenza di genere” ci si riferisce a tutte le possibili forme di abuso e di violenza perpetrate nei confronti di una cerchia di persone discriminate in base al genere e che hanno come risultato l’inflizione di un danno o di una sofferenza fisica, sessuale o psicologica.
In cosa si sostanzia la violenza di genere? Come imparare a riconoscerla?
In linea generale, quando si parla di violenza, il pensiero si rivolge automaticamente verso le manifestazioni più visibili di aggressione fisica. La violenza di genere, però, può assumere molte altre forme, meno eclatanti, più subdole ma altrettanto gravi, a tratti considerate innocue tanto che anche chi la subisce in prima persona fa fatica a riconoscerla come tale.
Si propone, pertanto, un elenco delle tipologie più diffuse di violenza di genere che, per quanto non completo ed esaustivo, può costituire un primo passo per riconoscere la violenza e contrastarla.
FEMMINICIDIO: qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino a provocarne la morte.
Ciò che distingue il femminicidio dall’omicidio è proprio il genere, che ne costituisce al tempo stesso il movente e la causa ultima. Il termine il femminicidio indica, dunque, tutti quegli omicidi che vengono perpetrati a danno delle donne in quanto donne.
Dall’inizio del 2021, in Italia, le donne vittime di femminicidio sono state 103 – una ogni tre giorni – delle quali 87 uccise in ambito familiare/affettivo.
[https://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/femminicidi-103-donne-uccise-nel-2021-una-ogni-tre-giorni-2ee00b86-ebde-42f1-bf3b-24701e6bdb5a.html?refresh_ce].
VIOLENZA FISICA: è la forma di violenza più riconoscibile in quanto visibile. Essa consiste nell’uso della forza contro per intimidire, terrorizzare o ferire la vittima causandole lesioni. Le azioni violente comprendono calci, pugni, spintoni, il sovrastare fisicamente, costringere nei movimenti e rompere oggetti come forma d’intimidazione, sputare contro, mordere, picchiare, soffocare, schiaffeggiare, minacciare con e/o usare armi da fuoco o da taglio e privare il soggetto di cure mediche.
VIOLENZA SESSUALE: comprende qualsiasi forma di imposizione di rapporti o pratiche sessuali indesiderate e/o rapporti che provocano dolore fisico e che siano lesivi della dignità, ottenute con la forza fisica e/o con minacce di varia natura, prescindendo dal consenso.
Sono da considerarsi violenza sessuale: le molestie sessuali (anche telefoniche), il rapporto sessuale subito o estorto con la minaccia, la richiesta di atti sessuali umilianti, l’aggressione con o senza stupro, la prostituzione forzata e la tratta.
L’imposizione di un rapporto sessuale o di un’intimità non desiderata è un atto di umiliazione, di sopraffazione e di soggiogazione, che provoca nella vittima profonde ferite psichiche oltre che fisiche.
VIOLENZA PSICOLOGICA: è una forma subdola di maltrattamento, in quanto invisibile e silenziosa, che colpisce moltissime donne, spesso inconsapevoli di esserne vittime: è forse la forma più pervasiva e distruttiva di violenza, che comprende tutti quei comportamenti che ledono l’integrità e la dignità della donna. Rientrano nella definizione di violenza psicologica i tradimenti, le menzogne e gli inganni, le condotte manipolatorie, il controllo e la gestione della vita quotidiana, le limitazioni della libertà personale e di movimento, le aggressioni verbali, le denigrazioni, le umiliazioni, i ricatti, il rifiuto sistematico di contribuire al lavoro domestico, le minacce di violenza fisiche o di morte, le minacce di autolesionismo e/o suicidio.
VIOLENZA OSTETRICA: si riferisce all’abuso realizzato nell’ambito delle cure ostetrico-ginecologiche e può essere realizzata da tutti gli operatori sanitari che prestano assistenza alla donna e al neonato (ginecologo, ostetrica o altre figure professionali di supporto).
L’espressione “violenza ostetrica” trova definizione giuridica per la prima volta nel 2007, in Venezuela, all’articolo 15.3 della Ley Orgánica sobre el Derecho de las Mujeres a una Vida Libre de Violencia che la definisce come l’ “appropriazione del corpo e dei processi riproduttivi della donna da parte del personale sanitario, che si esprime in un trattamento disumano, nell’abuso di medicalizzazione e nella patologizzazione dei processi naturali avendo come conseguenza la perdita di autonomia e della capacità di decidere liberamente del proprio corpo e della propria sessualità, impattando negativamente sulla qualità della vita della donna”.
Tra le pratiche che danno luogo a violenza ostetrica, le più comuni sono l’abuso fisico, verbale e psicologico, la mancanza di consenso informato e di privacy, il ricorso a procedure eccessive e dolorose senza che venga fornita un’adeguata terapia del dolore, il ricorso al parto cesareo anche quando non necessario.
VIOLENZA ECONOMICA: come nel caso della violenza psicologica, anche la violenza economica è talvolta difficilmente riconoscibile. Essa consiste qualsiasi forma di privazione, sfruttamento o controllo che mira a creare dipendenza economica, o ad imporre impegni economici non voluti e/o estorti con l’inganno.
Più specificamente sono riconducibili alla violenza economica la privazione o il controllo del salario, l’impedimento alla ricerca o al mantenimento del lavoro, gli impegni economici e/o legali imposti con la forza o con l’inganno, l’abbandono economico, il non pagamento dell’assegno di mantenimento, il limitare o negare l’accesso alle finanze familiari, l’occultare la situazione patrimoniale e le disponibilità finanziarie della famiglia, lo sfruttamento della donna come forza lavoro nell’azienda familiare senza dare in cambio nessun tipo di retribuzione, l’appropriazione dei risparmi o dei guadagni del lavoro della donna.
Questa forma di controllo limita pesantemente l’indipendenza economica della donna e spesso è una delle motivazioni che inducono la donna a non uscire da una relazione violenta o tossica.
STALKING: comportamento persecutorio tenuto da un individuo (stalker) che impone alla sua vittima attenzioni non gradite che vanno dalle telefonate, lettere, sms (di contenuto sentimentale o, al contrario, minatorio) fino ad appostamenti, minacce, atti vandalici e simili. Il comportamento dello stalker è, dunque, caratterizzato da un’ossessione più o meno marcata per la persona oggetto delle sue attenzioni, e dalla mancanza di rispetto per la sua autonomia decisionale e identità. Troppo spesso lo stalking apre la strada a un comportamento di tipo più violento.