IL FUTURO ADULTO CHE VORREI

Alessia Saini

Già nel 1600 Campanella nella sua opera “La città del Sole” immagina un luogo inesistente, una città fortificata e inespugnabile costruita su un colle, dove esiste una società felice, che non conosce conflitti interni, corruzione, inimicizia, invidie, tradimenti o fame. Città esempio di organizzazione politico-sociale perfetta. Per raccontare di come immagino e vorrei io che la società in cui vivo cambiasse, userò gli aspetti sottolineati da lui e adatti ai nostri tempi.

Il primo oggetto della sua descrizione è la struttura urbanistica. Sicuramente desidererei che le strade della mia città fossero diverse, le immagino sicure. Da un punto di vista prettamente urbano, mi piacerebbe che le buche non fossero uno dei principali motivi di incidenti, che le barriere architettoniche che limitano ed ostacolano i disabili fossero abbattute, ma anche chi con la propria automobile diventa barriera, nella mia società, mi piacerebbe che entrasse più in empatia e in rispetto con il sentire e vivere altrui. Mi immagino anche che i mezzi di traporto siano funzionanti e accessibili a tutti, per prezzo e per comodità, evitando così tensioni e frustrazioni a chi si muove per lavoro o altro. Se poi mi metto nei panni di bambini e anziani, sento su di me lo spaesamento nel non trovare una panchina o un posto verde e tranquillo dove riposare o giocare o semplicemente creare relazioni.

Una società dove alcune zone o quartieri non rappresentino per l’opinione comune il “degrado”, ma vengano visti, riqualificati e potenziati, mettendo in rete le risorse presenti già in essi.

Se allontano la lente di ingrandimento dal piccolo focus della mia città, vedo il mondo e mi domando cosa c’è che non va, dal punto di vista urbano, nel resto del mondo?

Mi rimane difficile coglierlo nello specifico, ma sicuramente rintraccio muri costruiti per delineare confini netti e severi tra popoli o connazionali, forse meglio dire tra essere umani, ma anche grattaceli sempre più alti, quasi a sfiorare Dio, per dare l’idea all’uomo di essere potente, onnipotente e onnipresente su tutto, ma in realtà contribuendo soltanto a togliere la vista del sole, costringendo l’uomo, abbagliato da questa illusione, a camminare a testa bassa, fisso sulla punta dei suoi piedi.

Non si tratterebbe il problema della lotta contro il cambiamento climatico come un obiettivo da darsi per i prossimi anni o come un elemento che rende, chi si prede cura del proprio pianeta, come una persona cool o fortemente all’avanguardia. Ma proviamo ad andare oltre…

Dopo aver descritto la struttura urbanistica, Campanella ci presenta gli abitanti della città.

Primo fra tutti descrive la figura del Re- Sacerdote chiamato, Sole e dei suoi diretti sottoposti.

La società felice immaginata da Campanella ha alcune caratteristiche sotto il punto di vista governativo. Il criterio per scegliere il capo è la sapienza.

Nella città del sole non esiste la proprietà privata, causa di conflitti, dolori, gelosie e altri mali sociali. La riproduzione non è legata al matrimonio, né a un sistema familiare.

Nella società che vorrei vivere, l’esistenza e la vita degli esseri umani non sono nelle mani di chi possiede un certo potere economico.

Il benessere biopsicofisico del cittadino della mia società non dipende né dalla classifica di appartenenza, (zona del mondo A, B, C) né dalle grandi aziende o dai ricchi, che controllano l’utilizzo e la diffusione di farmaci, cure e supporto.

Tutti avrebbero accesso ad un’istruzione buona e ricca di stimoli non solo di nozioni. Un’istruzione che abbia a cuore prima di tutto quello che è il vivere dell’alunno e non solo l’obiettivo da raggiungere a fine anno.

Una scuola non inclusiva ma integrale, ossia che investa sulla crescita del singolo sotto ogni punto di vista, completa e olistica, ma anche ricca di storie e persone diverse in dialogo.

Una scuola che possa formare all’affettività e sessualità, alla cittadinanza e all’impegno sociale, al rispetto e all’integrazione, all’uso di droghe e ai loro effetti.

Una scuola che sia davvero agenzia educativa, che possa accompagnare e sostenere i propri alunni nelle loro difficoltà, nei loro disturbi dell’apprendimento e anche di più, nei loro successi e nelle loro differenze di intelligenze. Meno meritocrazia e più accessibilità nelle Università.

Finito il periodo di studi i sogni e le aspettative sul mondo del lavoro non sarebbero infrante dall’impossibilità di trovare un’occupazione non invalidante e un reddito dignitoso.

La manipolazione mediatica non modificherebbe la società, distruggendo valori, identità, culture e creando prodotti e modelli di vita tanto attraenti quanto irraggiungibili e distruttivi.

Eviterebbe di creare ansia sociale a chi non riesce a raggiungere un posto di rilevanza sociale ed economica.

Dopo il parto, le madri di Campanella, si occupano dei neonati per due anni, vivendo insieme ad altre madri e figli. Successivamente “si smamma la prole”, da allora in poi non saranno più figli di quelle donne, ma entreranno a far parte del sistema di relazioni che accomuna tutti gli abitanti della città.

Mi piacerebbe che si tornasse a vivere l’educazione come forma di supporto dell’intera comunità.

Immagino anche un femminile diverso.

Donne che non sono più costrette ad essere alla mercé di un sistema patriarcale e abusante che le vede più fragili e quindi più sottomettibili. Donne che non vengono più picchiate o uccise o stuprate per un “no” o per un “non mi va” o per un abbagliamento libero e scelto. Donne che non vengano più “trattate” e vendute come carne da macello. O infibulate e torturate semplicemente perché nate in un posto del mondo in cui non si riesce a gridare contro queste pratiche. Donne che non vengano più sminuite per un dolore mestruale, ritenuto “che vuoi che sia”. Donne che non devono più fare a lotta per ottenere un posto di lavoro e uno stipendio che sia pari a quello di un uomo. Donne che siano solidali e unite nella battaglia, termine che nella mia società non dovrebbe esistere, perché dovrebbe essere un diritto e una forma di benessere, contro il dolore e le discriminazioni. Non ci sarebbe più lo stigma del corpo grasso, ma tutti i cittadini sarebbero alfabetizzati emotivamente e non userebbero mai un linguaggio offensivo verso una donna che non ha un corpo standard, perché non ci sarebbero neanche misure che rappresentino il prototipo di donna ideale.

Il termine comunità LGBT+ non esisterebbe, perché non ci sarebbe bisogno di un’autoghettizzazione per essere riconosciuti come persone in relazione e vivere serenamente la propria identità e il proprio amore.

L’uomo non avrebbe più necessità di essere sempre forte e severo per essere riconosciuto uomo, il concetto delle virilità non dipenderebbe dalla non espressione dei propri sentimenti ed emozioni, ma più da quanto questo sia in grado di essere un fragile umano.

Il governo investirebbe fondi e risorse nel sociale, a sostegno di chi è momentaneamente o in modo permanente, in una situazione di disagio e sofferenza. Non ci sarebbero più bambini e ragazzi costretti a vivere in casa-famiglia fino a 18/21 e poi lasciati a loro stessi, ma invece sarebbero più praticate le forme e le modalità di affidamento o adozione. Le case famiglie sarebbero riformate e al loro interno ci sarebbe il reale luogo di crescita e sviluppo. Il migrante non sarebbe soltanto un profitto economico, ma sarebbe ricchezza culturale e di animo.

Non vedrei più il sabato sera, nei centri sociali o nei pub o in giro, ragazzi o adulti talmente alienati dalla vita frenetica e povera di stimoli di tutti i giorni, che fanno uso di qualsiasi droga presente, convinti che quella sia l’unica cosa che li possa rendere sereni e farli divertire.

Altro tema a cui sono legata è l’adulto e la verità di se stesso.

Mi accorgo di essere sul tema che segue, molto severa, ma nel corso della mia breve esistenza, ho conosciuto pochi adulti che si sono assunti le proprie responsabilità e si sono confrontati con se stessi e le proprie fragilità.

Per farlo userò delle frasi tratte da una canzone di un rapper italiano, Marracash. 

 “La verità non semplifica, la verità non si esplicita. Perché ci vuole coraggio per dire: “Sono un codardo”. Metti una maschera sopra la maschera che già ti metti ogni giorno. Con questa macchina e l’attico è un attimo che non sai più chi c’è sotto.”

La verità non santifica, la verità non giustifica. Tempo di farsi domande, mettere l’ego da parte. Voglio coprirmi di cash, sarò felice, lo sento. Ciò che dirà il vecchio me: “Confondi il fine col mezzo”

Soffocati gli idealismi, condannati a non capirci. Forse questo, forse. Siamo solo più egoisti, forse un cane e niente figli. Forse niente ha senso.”

“Io che non sono più io. Io non mi fido di Dio. Io tutto e io niente. Io stasera, io sempre. Io con più niente di mio.”

Spesso di fronte ad alcuni adulti mi sono sentita non protetta, non rispettata e non tutelata. Ho percepito il poco interesse nello smascheramento di se stessi e nella cura dell’altro. Forse un po’ egoisti, forse un po’ codardi, ma sicuramente adulti molto soli nel loro percorso di crescita. E se è vero che l’età è un elemento labile e non tangibile è vero anche che un adulto è stato prima un bambino e poi un adolescente e che forse, a sua volta, è stato poco visto e valorizzato, da un contesto vicino, ma soprattutto da uno globale o collettivo.

Quindi scommettere sull’educazione e la cura del benessere dell’individuo è scommettere sul futuro adulto, che non sarà terreno instabile e roccioso per chi cercherà di trovare in lui un esempio e delle radici per diventare cittadino e persona.

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