Ci troviamo spesso a definirci resilienti, a tatuare nel nostro corpo questa parola, a chiedere a chi ci cammina accanto di esserlo, come lo siamo noi. Ma quanto questa parola è usata in modo improprio e forse anche abusata? Che cos’è quindi la resilienza? Per rispondere alla domanda, trovo necessario tornare alla sua origine e al suo significato intrinseco.
Sul dizionario Treccani compare così:
“Resiliènza s. f. [der. di resiliente]. – 1. Nella tecnologia dei materiali, la resistenza a rottura per sollecitazione dinamica, determinata con apposita prova d’urto: prova di r.; valore di r., il cui inverso è l’indice di fragilità. 2. Nella tecnologia dei filati e dei tessuti, l’attitudine di questi a riprendere, dopo una deformazione, l’aspetto originale. 3. In psicologia, la capacità di reagire di fronte a traumi, difficoltà, ecc.”
La resilienza quindi è la qualità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi, in psicologia quella capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà affrontandolo in maniera positiva, riorganizzando la propria vita, restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza alienare la propria identità.
Bisogna sottolineare da un lato che la resilienza è una capacità insita nell’essere umano e dall’altro che non sempre questa viene utilizzata in senso positivo.
Questa diversità può spiegare, ad esempio, perché in condizioni traumatiche e di forte stress alcuni individui riescono ad uscirne senza riportare effetti negativi a lungo termine, mentre altri possono arrivare a sviluppare veri e propri disturbi psicologici.
Secondo gli studi psicologici molti sono i fattori che influenzano la capacità di azionare la risposta resiliente dell’individuo.
Questi fattori possono essere individuali, ossia caratteristiche posseduto dal singolo che si mettono in moto sotto stress o eventi traumatici, come l’autostima, il problem solving, l’empatia, la comunicazione assertiva e l’ascolto attivo e le strategie di coping, ossia dei meccanismi sviluppati nel tempo, che hanno permesso di costruire una “banca dati” di strategie utili.
Gli altri sono i fattori sociali e relazionali, ossia il contesto dove si è integrati e quanto si è integrati in questo, le relazioni intessute dalla persona e anche la qualità, il coinvolgimento e il sostegno emotivo e materiale.
Altro aspetto che per me è importante sottolineare è che la resilienza non va confusa con la resistenza, che è, invece, la capacità di una persona di opporsi e non di adattarsi, appunto di resistere o anche di opposizione nonviolenta alle imposizioni di un’autorità.
In conclusione possiamo dire che la resilienza è un elemento importantissimo nella vita dell’essere umano, quell’elemento che in questi due anni di pandemia ci ha permesso di riadattarci e trovare dei sistemi nuovi per comunicare, starci vicini e sostenerci, ma che spesso però ci ha soltanto impigriti e resi più individualisti.
Per questo sentiamo la necessità di ammettere nel nostro vocabolario affianco alla resilienza anche la resistenza, perché adesso che siamo più fragili, dobbiamo invece resistere a chi vuole farci essere promotori e sostentatori della guerra.
Alessia Saini