Storie di odierna resistenza che ci indicano come sia cambiato (o no) un valore spesso dimenticato
“Resistere non serve a niente” era il titolo del romanzo di Walter Siti, vincitore del premio Strega nel 2013. Nel romanzo l’autore, con un tono rassegnato e disilluso che lasciava poco spazio alla speranza, dissacrava il valore della resistenza, intesa come opposizione al capitalismo sfrenato dei nostri tempi, che crea sempre più sacche di povertà e sempre maggiore disparità tra chi detiene il potere, ovvero il capitale finanziario, e chi annaspa nel marasma del mondo reale, sempre più instabile e frastagliato.
Quando scriveva il romanzo in questione, l’autore non poteva prevedere una nuova crisi economica dovuta a una pandemia mondiale che ha messo a nudo l’impreparazione del mondo, anche quello “ricco” e Occidentale, davanti a un collasso sanitario. La crisi in questione era ancora quella dei subprime, scoppiata nel 2008. Ci sarebbe da chiedere a Walter Siti se, ad oggi, resistere ancora serve. Noi assumiamo di sì. E per noi si intende, oltre agli altri, i giovani volontari appartenenti alla stessa generazione di chi scrive, quelli che dal 2008 si sentono ripetere «che non ci sarà mai niente per loro» e che quindi sono più vaccinati rispetto alla tradita generazione precedente, come segnala in una lucida intervista al mensile Millennium Michele Rech, in arte Zerocalcare.
Molte sono le storie di odierna resistenza che ci danno ragione di pensare che resistere ancora serve a qualcosa. Tra queste, riportiamo brevemente la storia del progetto Habitat Microaree di Trieste. L’obiettivo principale del progetto è quello di creare una nuova medicina territoriale mettendo in connessione l’ASL di Trieste con i medici di base, gli ambulatori e il terzo settore (in particolare: volontari, associazioni di cittadini, gruppi di auto mutuo-aiuto, gruppi di quartiere). Nonostante il progetto sia attivo dal 2005, solo una recente legge, approvata dal Consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia, ha permesso ad Habitat Microaree di entrare a far parte del programma dell’ASL di Trieste. L’idea del progetto è nata dalla necessità di offrire cure e assistenza ai cittadini delle periferie della città triestina, meno abbienti e più bisognosi ma poco raggiungibili dal sistema sanitario convenzionale. «Abbiamo individuato 14 Microaree, messo a capo di ognuna un operatore a tempo pieno, dipendente dell’Azienda sanitaria, spesso infermiere, ma non per forza. Siamo andati, e andiamo, casa per casa, taccuino in mano, a parlare con gli abitanti,
conquistare la loro fiducia e identificare le reali necessità.» spiega, anche lei al mensile Millennium, Monica Ghiretti, operatrice volontaria fin dagli albori del progetto. «Avendo un filo diretto con i vari servizi sanitari e il terzo settore – prosegue Monica Ghiretti – solleviamo le persone di una parte dell’iter burocratico e organizzativo». Così, nelle sedi delle Microaree delle periferie triestine, non è raro osservare volontari che portano abiti e cibo; altri accorrono allarmati da una segnalazione fatta da qualcuno che può aver bisogno.
E’ un microcosmo che resiste imperterrito, con cura verso i più deboli e noncurante del modus operandi convenzionale, quello devoto al guadagno più che al bisogno. E’ un microcosmo che fa parte di un mondo sempre più piccolo e sempre più dimenticato. Però è una parte di mondo che resiste e per questo non possiamo che apprezzarne la bellezza.
Come non possiamo che ammirare la storia di coraggio e riscatto della cooperativa sociale Barikamà, formata da un gruppo di giovani provenienti da Costa d’avorio, Gambia, Guinea, Mali e Senegal. Molti dei fondatori di quella che oggi è una cooperativa agricola presero parte alla rivolta dei braccianti di Rosarno del gennaio 2010. Coraggio, riscatto dallo sfruttamento, ovvero moderna resistenza. Lo testimonia il nome stesso della cooperativa, Barikamà appunto, che in lingua Bambara – una varietà linguistica del Mali – ha un significato di “forza”, traducibile con “resistenza”. Barikamà, grazie alle reti di acquisto solidale e alle consegne a domicilio, ha retto anche allo scossone inflitto dal Covid-19, che poteva spazzarla via e far ripiombare i suoi consociati nella povertà. In periodo post lockdown la cooperativa agricola è tornata a fornire regolarmente dieci mercati della città metropolitana di Roma e, fortunatamente, le richieste di nuovi ordini non accennano a fermarsi.
Insomma, un’altra storia di resistenza a lieto fine. Giusto per fugare gli ultimi eventuali dubbi sulla necessità di resistere ai nostri tempi.
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Resistere ancora serve per conservare il barlume di umanità che, flebile, brucia ancora dentro. Complimenti!