Se qualcuno avesse profetizzato sulla mia esperienza di servizio civile e mi avesse svelato come sarebbe andata, probabilmente non ci avrei mai creduto. Mi chiamo Francesca e partecipo al progetto di servizio civile “Uniti nelle differenze” con sede ad Annecy, presso un ente che si occupa di persone con disabilità mentali. Oggi sono qui per raccontarvi della mia esperienza di servizio civile che cerca di non arrestarsi di fronte al Covid-19.
L’aver avuto la possibilità di prendere parte al servizio civile ha significato molto per me e prima della partenza riponevo in questa esperienza numerose aspettative: facevo castelli in aria, pensavo a tutte le cose che avrei potuto fare, vedere, conoscere, imparare. Eppure, un po’ alla volta, le aspettative si sono spente non appena si sono scontrate con la realtà dei fatti: a marzo è sopravvenuta l’emergenza sanitaria che ha comportato la sospensione di tutti i progetti di servizio civile e che per me ha voluto dire rientro in Italia. Dopo tre mesi si è intravisto un barlume di speranza e difatti c’è stata la ripresa del progetto. Ho così iniziato a svolgere il servizio con carica e passione, a sentire il progetto come se fosse fatto su misura per me, ad ambientarmi nella struttura ospitante e a familiarizzare con i suoi utenti. Anche se, devo ammettere, il servizio è stato fuori da ogni mia precedente immaginazione: ci siamo abituati ad un approccio interpersonale privo di contatto fisico, ad ammonimenti al non avvicinarsi troppo, ai visi scoperti solo per metà, al distanziamento sempre e comunque in qualsiasi situazione, al gel sulle mani di continuo.
Tutto è sembrato procedere per il meglio finché si è verificato un ulteriore aggravamento della situazione sanitaria che questa volta ha dato luogo ad un lockdown in Francia e che è coinciso con l’ammalarsi di due operatrici volontarie che vivono con me. Al momento svolgo un’attività da remoto nell’attesa di tornare nella consueta sede di servizio che spero avvenga fra non molto.
Nonostante la situazione avversa ho deciso di non fermarmi, di continuare il servizio nel limite del possibile, con tutte le dovute precauzioni e con la stessa passione iniziale.
Ho scelto di restare pur sapendo che c’è il rischio di ammalarsi, pur sapendo di essere lontani dal proprio Paese e dai propri affetti. Ho scelto di restare pur avendo la consapevolezza che non ho molto da offrire a parte la mia presenza, il supporto morale, l’ascolto, le chiacchiere e il mio francese imperfetto che suscita divertimento. Ho scelto di restare anche se il Covid non si è arrestato perché la disabilità non si arresta, perché c’è gente che di sorrisi lasciati intendere dietro le mascherine ne fa una grande ricchezza; perché sono sicura che lì nell’ente c’è qualcuno a cui i piccoli gesti lasciano un segno, così come lo lasciano a me.
Francesca, redazione francese