Prendere un respiro profondo e buttarsi in un tuffo che inizialmente sembra altissimo per poi sentire che all’atterraggio ci sono mani salde e soffici.
L’idea di mettere in scena un teatro è nata come un desiderio, una di quelle cose che pensi, proponi, piace, ma sulla quale non hai molte aspettative di realizzazione.
Da gennaio 2019 mi trovo in un paesino che conta non più di ottanta occhi e braccia dedite all’agricoltura. Il suo nome è Uva, occupa più o meno il tempo di 10 minuti per girarla tutta, salutare i suoi abitanti e farsi offrire un bicchiere di vino fatto in casa.
Da gennaio sono in Portogallo a svolgere il servizio civile per l’associazione Palombar, un connubio di forze e energie giovani che hanno a cuore la salvaguardia del patrimonio naturale e sociale delle terre che abitano.
Partendo dagli studi di conservazione di specie a rischio di estinzione, riescono a smuovere questa parte del paese che altrimenti finirebbe dimenticata: il Tras os Montes, da tempo spopolata a causa della sua anima rurale.
A giugno, incredibilmente, è avvenuto il mio debutto teatrale in terre Portoghesi.
La prima volta che affrontavo il teatro per bambini. La prima volta che dovevo usare la voce davanti un pubblico, utilizzando una lingua non “mia”. La prima volta che penso e scrivo una storia e la rappresento.
Le paure erano tante, le corde vocali tremavano con il proprio ritmo, la tensione mi faceva stringere i denti in un sorriso esageratamente tirato, la pancia era un continuo lamento, meglio non mangiare, né bere caffè, ho bisogno di zuccheri, ho sete.
Al mio fianco c’è Gaelle, mezzo sangue portoghese e mezzo francese, la figura di riferimento nella sede estera, colei che supporta e sopporta noi volontari, colei che porta sempre il sorriso nell’associazione, colei che mi è stata da guida fin dal primo giorno, avendo pazienza nell’ascoltare il balbettio dei primi tempi dato dalla confusione che si ha mentre si impara una nuova lingua.
Sento che Gaelle vive le mie stesse emozioni, se non amplificate. Ci prendiamo per mano e una scarica di energia e coraggio attraversa i nostri corpi.
“Merda, merda, merda!” Si va in scena, i bambini arrivano e affrontiamo il nostro primo pubblico in modo inaspettatamente naturale e leggero.
I bambini lo adorano e ci guardano come due supereroine, come quelle che incontri nei libri di avventura o nei film, ma in carne ed ossa. Durante tutta la giornata i nostri nomi erano cambiati da Virginia e Gaelle a Signora Bonelli e Signor Britango.
Gli occhi curiosi e pieni di domande dei bambini sono tornati a casa conoscendo due specie che abitano i cieli proprio in cima alle loro testoline: l’aquila di Bonelli e il Britango (specie di avvoltoio che in italiano si chiama Capovaccaio); coscienti del ruolo importante che hanno questi due rapaci nel mantenimento della biodiversità, dell’impatto che ha avuto l’uomo sul rischio attuale di estinzione, e del grande aiuto che gli sta dando l’associazione Palombar, evitandone la scomparsa.
Dopo qualche giorno dalla “prima” teatrale arrivano dei feedback sotto forma di disegni e racconti. In quel momento il mio cuore ha iniziato a battere ad una frequenza innaturale, facendo risalire un calore insolito dalla gola, fino ad inumidire gli occhi. Tutti i dettagli, tutto l’amore e la semplicità utilizzati per la nostra creazione, erano stati accolti e capiti. Il momento in cui io e Gaelle, da sole in ufficio, sfogliavamo quelle pagine di quaderno è stato molto più toccante che tutti gli applausi infiniti che si possano ricevere.
Dopo qualche replica ho guardato in faccia tutta la fiducia che mi era stata data nella realizzazione di questa attività. In vita mia, tra tirocini, lavori e compitini in varie compagnie di teatro, non avevo mai ricevuto carta bianca e totale libertà di espressione. Un gran pieno di sicurezza e fiducia in me stessa. In un mese mi sono sentita spinta, guidata e abbracciata. Un percorso graduale e gratificante. Finalmente una risposta alla domanda: <<perché sono finita a partecipare ad un progetto di Servizio Civile in mezzo a biologi?>>.
Grazie a loro, ai biologi, ho scoperto di avere un sogno soltanto dopo che l’ho realizzato.
Mi sento anche fortunata ad avere l’opportunità di vivere in questo luogo immerso nella natura, dove puoi sfogarti correndo sulla collina più vicina, puoi emozionarti davanti un tramonto che colora il paesaggio visto dall’altezza che scegli tu, puoi ridere e divertirti correndo tra le coltivazioni di cereali. Sei tu e la natura, solo il sole e i sentieri come tuoi complici e testimoni.
Il tempo? Qui sembra non esistere, o meglio, sembra che qui non abbia importanza, sembra quasi essere malleabile, in netto contrasto col tempo vissuto in città, dove sai esattamente quanto durerà una giornata e, il più delle volte, appena ti svegli già sai il tragitto che farai.
La vita, in questa terra desolata, rispetta i ritmi umani, naturali, stagionali e lunari e il mio corpo danza felice in questa tranquillità.
Virginia Miccinilli
Volontaria in Servizio Civile in Portogallo
Sede di Uva