Marcelino è uno dei ragazzi “storici” della Fondazione Cristo de la Calle ed è arrivato in casa famiglia quando aveva 6 anni, ora ne ha 14. Non conosco ancora molto bene la sua storia né tanto meno lui, essendo io arrivato da poco nella sua vita. L’episodio che sto per descrivere non è limitato nel tempo ad un momento solo, bensì è un’esperienza che si è ripetuta e rafforzata nei due mesi e mezzo di attività come volontario. Si tratta di quelli che io considero come i nostri (senza dubbio sia miei che suoi) “primi passi”. Mi spiego meglio: a causa di una grave patologia Marcelino è nato con le gambe atrofizzate da metà coscia in giù, due anni fa è stato operato con la speranza di permettergli di usare le protesi per potersi muovere più autonomamente. A inizio febbraio ho iniziato a svolgere servizio nella casa famiglia in cui vive lui e fra i miei compiti c’era quello di accompagnarlo a fare la terapia riabilitativa in ospedale per abituarlo a usare le protesi.
I nostri primi passi li abbiamo fatti una mattina della seconda settimana di febbraio. Senza parlare molto nel tragitto casa-ospedale, guardavo fuori dal finestrino cercando di memorizzare la strada fatta dall’auto e immaginando quello che mi avrebbe aspettato durante la terapia di Marcelino. Arrivati nella struttura abbiamo percorso una serie di corridoi – io agitato e lui con la solita espressione stoica che lo contraddistingue. Dopo un po’ di chiacchere con i fisioterapisti riguardo la frequenza delle visite, l’importanza del fare esercizio a casa e la necessità di qualcuno che monitori l’attività del ragazzo, iniziamo a mettergli le sue nuove gambe. Una volta inserite le protesi nei monconi, il medico gli disse di alzarsi aiutandosi con un girello ed in quel momento scattò dentro di me qualcosa che avevo già provato in altre circostanze con i miei fratelli, qualcosa che esternamente si tradusse in un banale rivolo di lacrime sul viso.
La paura che aveva nel trovarsi così in alto era confermata dal tremolio del girello e delle braccia, causato dalla forza e dal peso a cui erano sottoposti; ma nonostante questo il suo viso restava quasi impassibile, serio, senza tradire alcuna emozione. In compenso io, che sentivo di non poter far nulla, ero attraversato da paura, euforia, preoccupazione, eccitazione e impotenza, mentre fissavo questo ragazzone fare qualcosa che probabilmente è più grande di me. Ho ripensato più volte ad esperienze mie che potessi paragonare al percorso che Marcelino aveva appena intrapreso, ma forse la poca lucidità e il timore dati da pensieri riguardo il suo futuro non mi hanno permesso di trovare una pietra di paragone adatta.
Per i primi 10 giorni circa siamo andati insieme in ospedale ogni mattina, ho cercato di avvicinarmi sempre un po’ di più, provando a rispettare i suoi tempi nonostante ogni tanto la voglia di scherzarci e gli incoraggiamenti durante le sedute mi sfuggissero di mano. E scrivo “siamo andati insieme” perché, anche se lui non lo sa, stavo muovendo anche io i miei primissimi passi sul campo come civilista. Se quindi si può dire che Marcelino ha iniziato il percorso riabilitativo accompagnato da me, è anche giusto dire che io ho iniziato la mia attività nella Fondazione Cristo de la Calle accompagnato da lui (e da altri 12 bambini), finendo per essere non solo un mero “utente” del mio servizio di volontariato ma una guida. La fatica, il dolore e la frustrazione provate nelle sedute di terapia facevano da contraltare ai visibili progressi che faceva Marcelino da un giorno all’altro e questo mi spronava a mia volta a fare e impegnarmi sempre di più nelle mie attività e in quelle cose per cui generalmente mi trovavo più in difficoltà (come imparare i nomi dei bambini e le regole della casa).
Con il tempo il nostro rapporto è progredito, anche se per via degli orari di lavoro non andò avanti quanto avrei voluto poiché nel pomeriggio lui deve andare a scuola e torna tardi, impedendoci di avere momenti da soli, cosa che mi sono reso conto essere indispensabile per un ragazzo adolescente come lui. In compenso ora lo vedo più sciolto e più espressivo sia nei miei confronti sia in generale anche con gli altri abitanti della casa. Io d’altro canto penso di aver iniziato a capire un pochino come funzionano le cose “là da loro”, spero solo di non essere sulla pista sbagliata. So che comunque, in ogni caso, posso permettermi di cadere qualche volta – come è successo a Marcelino – ma, sempre come fa lui, devo rialzarmi e continuare a imparare e fare quello che posso per lui e per gli altri ragazzi della Fondazione.
Giuseppe Carlos Garofalo Gonzalez
Volontario in Servizio Civile in Ecuador
Sede di Ibarra