Il 15 ottobre 2017, a Huatajata in Bolivia, si è svolta la tanto attesa “XIII Feria del Pescado”.
Credo di averne sentito parlare per la prima volta già a Roma, dove Lidia, la nostra referente boliviana in visita durante la formazione, annunciava con tanto entusiasmo la nostra partecipazione a questa, a me ignota, festa. In effetti non avevo idea di cosa sarebbe stato e quanto avrebbe influenzato il mio primissimo approccio alla Bolivia e al servizio civile.
Arrivati finalmente a Huatajata avremmo dovuto essere presentati ufficialmente alle autorità, cosa per me quanto meno inconsueta e forse imbarazzante, ma il nostro arrivo coincideva con l’ultima e decisiva riunione municipale sul tema della Feria. Nella sala riunioni dell’Alcaldia, ci hanno sbrigativamente presentato per poi inoltrarsi in animate discussioni su “quali piatti e quale scuola”, sul manifesto e le riunioni pre-feria, e su altre questioni che apparentemente più importanti, vuoi per la lingua, parte del dibattito avveniva in Aymara, vuoi per la novità di trovarmi in quella situazione per me così strana, non credo di aver colto del tutto. Ciò che forse avrei dovuto ascoltare con più attenzione, è stato l’annuncio della nostra partecipazione allo spettacolo di danze tipiche, in programma per il pomeriggio della feria.
E già nei giorni successivi si è iniziato con i preparativi: il primo pane, per far pratica per i tanti che ne sarebbero venuti, e le prove di ballo. Finalmente le mie compagne indossano le loro mega gonne da cholita e si possono iniziare le prove, per quella che si prospetta essere la nostra definitiva umiliazione nella appena conosciuta Huatajata, o almeno così pensavo.
Sabato 14 ottobre, la vigilia della Feria. Missione del giorno: preparare il pane da vendere, circa 800 pagnotte di pani vari, con carote, anice, queso e quinoa (Arto pan!). Da unire a empanadas, galletas, torte e tortini. Già in ritardo, ci avviamo verso il Taypi[1] per raggiungere Susana, la docente di reposteria, e iniziare il lavoro per il giorno seguente, quando in mezzo alla strada che da casa arriva al centro, l’unica strada a parte “l’autostrada”, incontriamo un gruppo di persone, uomini seduti in circolo su vecchie sedie e le donne a terra, tutte intorno, a ridosso delle case lungo la via, a riparo dal sole cocente delle Ande. Ci fermano, alcuni ci riconoscono, altri si ripresentano, molti ci offrono da bere, ci regalano pane e frutta. Cosa sta succedendo? Niente di che, stanno solo festeggiando: sono tre anni che la sposa del padrone di casa, o della strada chissà, è morta, e si è finalmente ricongiunta alle montagne. Bisogna festeggiare, e noi con loro.
Dopo alcune preghiere, vasos di birra, foglie di coca, pane e frutta, e vari tentativi di spiegare che era proprio ora di andare, siamo riusciti a dirigerci verso il Centro dove abbiamo trovato Susana pronta e all’opera. Si inizia con il pane! Preparata una quantità di massa che sarebbe bastata a sfamare tutta Huatajata per mesi, e una volta suddivisa a seconda dei vari gusti, si iniziano a fare le palline di pane che nell’ultima settimana avevamo imparato a modellare, e questo finché non tramonta il sole, inizia a far freddo, le tue mani e le tue braccia iniziano a far male, e i tuoi occhi vedono solo palline bianche da infornare.
La mattina siamo tutti abbastanza euforici e pronti a gettarci in quello che sembra essere il più grande evento del piccolo paese nel quale eravamo da poco arrivati. La feria, organizzata nel grande spiazzo che dalla Unità Educativa Antonio Chiriotto, passando i campi, arriva al lago, era già nel vivo dei preparativi e l’odore di pesce e spezie già riempiva le strade di Huatajata. Arrivati al Centro, caricati tavoli e pane, ci dirigiamo verso la scuola e lì troviamo il nostro banco ad attenderci. Montato tutto, si iniziano i primi timidi tentativi di vendita, ma la gente è diffidente. “L’avete fatto voi?” Non credono che cuatro gringuitos possano fare il pane boliviano, ma alcuni provano, fanno provare e piano piano si inizia a vendere. L’arrivo di Susana, la nostra chef, elimina ogni residua diffidenza e finalmente arriva una folla di gente, finiamo tutto, o quasi, bisogna tenere il pane per la Ministra! E così, dopo una lunga attesa, arriva la giovane e spigliata Ministra della Cultura, qualche foto, due domande e due battute, e via verso il prossimo banco, seguita da telecamere e giornalisti. Possiamo andare a mangiare, a provare le tanto decantate delizie della feria del pescado e a vedere i vari banchi di artesania, pesci e prodotti tipici sparsi lungo tutto il perimetro del campo. Se non fosse che il momento del ballo è alle porte. Di corsa a mangiare (ottima trucha, ma ahimè la maggior parte dei piatti tipici era già finita, in Bolivia si mangia molto presto) e via a provare, forse per la prima volta seriamente, il ballo che presto avremmo fatto difronte a circa duemila persone.
E così ritorniamo alla feria, vestiti da aymara, gli uomini in camicia, sciarpa e sombrero, e le donne da cholita, con polleras e bombetta, pronti alla pubblica umiliazione, quand’ecco che la gente ci vede e, forse aiutati dalla cerveza che iniziava a riempiere i loro stomaci, si esaltano, si divertono, vogliono foto e parlare, parlare, parlare. Ma è arrivato il nostro momento, dal palco chiamano i membri del Taypi Warminaka, pronti ad esibirsi nella danza del “Chachuiri”. Ed è stato un successo. Nonostante le nostre scarse abilità, e forse solo per l’entusiasmo di vederci vestiti così, la folla ha apprezzato il nostro ballo, e di nuovo, vengono a frotte a chiederci foto e a salutarci, e altre foto e altre domande, mi sentivo quasi una rock star post concerto.
Pensando fosse tutto finito, ci dirigiamo nuovamente verso il Centro per tornare ad indossare abiti leggermente più comodi e finalmente andarci a godere la feria da comuni visitatori, ma come torniamo, e mentre ci chiedono altre foto e offrono i primi vasos di birra, ecco che dal palco richiamano il nome del centro: abbiamo vinto! Non ho ben capito che posizione avessimo raggiunto, e a malapena avevo capito stessimo partecipando ad una competizione, con tanto di premi, ma il pubblico, la giuria o chi per loro, hanno deciso di premiare proprio il gruppo del Taypi, inclusi los gringuitos che ne fanno parte. Il premio che ci eravamo aggiudicati consisteva, se non erro, in un quintale di farina, mezzo di zucchero e sei bocce di olio. Bellissimo, ma ora? Come portarli fino al Centro? E così di nuovo su, a vedere se la carriola che qualcuno ricorda al Centro (ovviamente del Taypi eravamo rimasti solo noi, gli altri erano dovuti tornare a La Paz) è effettivamente la e se con quella ci si può riuscire. E in effetti, dopo lunghe soste, e parecchia fatica (ricordiamoci sempre che Huatajata è a circa 3800m di altitudine), siamo riusciti a portare il tutto al suo posto e tornare finalmente a goderci la feria, che ormai volgeva al termine.
E così, a ballare, mangiare, e conoscere i nostri nuovi compaesani, in quella che è stata la nostra prima vera esperienza huatajateña e con quel ballo che ha fatto sì che anche i più anziani si ricordassero di noi.
Dario Cossu
Volontario in Servizio Civile in Bolivia
Sede di Huatajata
[1] Il Taypi Warminaka (Centro delle donne) è il Centro di Educazione Permanente (CEP) di Huatajata dove si svolge il servizio civile