Prima di candidarmi per il servizio civile avevo delle idee abbastanza chiare: volevo fare un’esperienza nel settore della disabilità e volevo farlo nel Sud America. L’incontro di queste due variabili mi ha portato a svolgere il Servizio Civile in Argentina, più esattamente a Petión, una località che si trova nel comune di Cañuelas a circa 60 chilometri dalla capitale Buenos Aires.
È proprio a Petion, questo piccolo paesino di campagna nato intorno ad una stazione ferroviaria, che si trova il centro diurno della Fundación Ipna, una Fondazione che da più di trent’anni porta avanti un prezioso lavoro di supporto ai diritti delle persone con disabilità. Il Centro ospita circa 40 persone, prevalentemente adulti con disabilità fisica e mentale. Gli utenti del centro per poter partecipare al meglio ai vari laboratori proposti vendono divisi in 4 sottogruppi. L’obiettivo principale alla base delle attività del Centro è quello di promuovere e incentivare l’autonomia personale e sociale degli utenti.
Tra i partecipanti che frequentano il Centro c’è Fer, ed è lui che vi voglio presentare. Fer è un signore tutto d’un pezzo di 40 anni affetto dalla sindrome di Down. In Fundacion si riconosce subito: è l’unico ad indossare un grembiulino blu che era del centro diurno che frequentava prima. Mille volte le maestre gli hanno detto che al centro non c’è una divisa e che non è necessario che lo metta, ma fondamentalmente è una testa dura e si ostina ad indossarlo. Fer ha anche problemi di udito e per questo deve indossare l’apparecchio acustico. Molte volte capita che se lo dimentichi a casa o che ha le pile scariche, quindi sente molto poco e durante le spiegazioni delle maestre si estrania nel suo mondo. Inoltre, come conseguenza non scandisce bene le parole e fatico a comprenderlo, anche per i miei limiti con lo spagnolo.
È un attore nato: a volte fa finta di svenire facendo prendere un colpo a tutti quelli che sono con lui (e soprattutto a quelli che non lo conoscono, come me la prima volta in cui mi sono trovata di fronte a questa scena), ma in due secondi si riprende quando vede la maestra prendere il cellulare e chiamare l’ambulanza.
Fondamentalmente è una persona molto simpatica e mi diverte vedere ogni giorno cosa combina. Durante la giornata trascorriamo tanto tempo insieme tra gruppo di lavoro e il tavolo durante i pasti; ammetto di essermi affezionata particolarmente a lui. D’altra parte, sento che anche lui si sia legato per i gesti di affetto che ha nei miei confronti e quando nei momenti di pausa mi cerca con lo sguardo per poi sedersi vicino a me.
Mi piace il fatto che tra di noi si sia instaurata una routine: ad esempio, quando il lunedì mattina ci rivediamo, so già che mi chiamerà da lui, mi chiederà come ho trascorso il weekend e vorrà sapere tutto nei minimi dettagli, con chi sono stata, cosa ho mangiato e a che ora sono rientrata.
Il fatto che lui sappia che io ci sono sempre, però, comporta anche che mi chieda di aiutarlo in alcune cose che può e sa benissimo fare solo, penso per pigrizia più che altro. Con lui ho dovuto gestire questo: la linea sottile che separa il bene che può scaturire dall’aiutare l’altro e il creare dipendenza, quella negativa, che non fa altro che limitare l’autonomia della persona.
Quando siamo al laboratorio di formazione lavorativa di panetteria, puntualmente vuole che sia io ad aiutarlo a mettersi la cuffia e che lo aiuti a fare il fiocco al grembiule. Inizialmente, ingenuamente, lo facevo perché non sapevo che ne fosse capace da solo, quindi quando mi chiamava per aiutarlo ero lì che correvo da lui. Un giorno, parlando con la maestra di quel laboratorio ho scoperto che, al contrario, ci riusciva benissimo da solo e mi sono sentita altamente fregata! Ho capito l’importanza di lasciarlo portare a termine quello che dovrebbe fare solo. E quando questo avviene mi piace la sua faccia di soddisfazione quando gli dico: “visto che puoi!”, e lui: “Si, io posso”.
Grazie a Fer ho capito l’importanza di rispettare il tempo dell’altro, di non sostituirmi, seppur così si ottengano le cose in modo più rapido e facile…
“Molte persone piccole, in luoghi piccoli, facendo piccole cose, possono cambiare il mondo”. Con questa frase di Edoardo Galeano è partito il mio servizio civile. Oggi mi rendo conto quanto anche il “mio mondo” personale sta cambiando grazie alle persone che sto incontrando e a tutto quello che attraverso di loro sto ricevendo.
Silvia Tenerelli
Volontaria in Servizio Civile in Argentina
Sede di Petion