Nove meses de inverno e três de inferno, recita un detto popolare locale. Pare non ci siano vie di mezzo qui nel Trás-os-montes, la regione del nord-est del Portogallo in cui sto svolgendo il mio anno di Servizio Civile presso Palombar, associazione che si occupa di Conservazione della Natura e del Patrimonio Rurale.
Ho salutato la mia famiglia tre mesi fa per trasferirmi in un paesino di circa una quarantina di abitanti -quasi tutti anziani- in questa terra arsa dal sole, fuori dal mondo. Si tratta di Uva, una minuscola aldeia (paesino) a qualche chilometro dalla cittadina di Vimioso. Sono nel cuore del Planalto, costellato di praterie rocciose, boschi di leccio e di sughera, distese di arbusti e torrenti che in estate seccano lasciando il letto del fiume a creparsi sotto i raggi solari. La macchia mediterranea nella sua espressione più selvaggia. Nel vicino Parco Internazionale del Rio Douro, il fiume scava profondi canyon fatti di ripide pareti rocciose, regalando paesaggi spettacolari e habitat unici per parecchi animali a rischio di estinzione. È in questo contesto naturale che i miei curiosi occhi hanno vagato senza sosta durante le prime settimane qui.
Dopo le pungenti mattine dei primi mesi, in cui si doveva uscire di casa con la temperatura ancora sotto lo zero, ecco che all’improvviso il sole inizia a battere severamente durante le ore centrali della giornata, costringendoci ad un vestiario sempre molto stratificato e versatile durante le giornate di servizio più lunghe, in cui si opera lontano da casa. Sembra che l’inverno sia ormai ampiamente superato, già viene meno la necessità di accendere quotidianamente la stufa a legna. Ma si tratterà di un’illusione temporanea: il freddo e le gelate ultra tardive si faranno sentire durante buona parte di aprile, in cui praticamente si sperimenteranno tutte le quattro stagioni nello stesso mese (ed a volte nello stesso giorno). A me non importa. Già abbiamo iniziato a sperimentare il caldo e tanto mi basta: d’ora in avanti le giornate non potranno che migliorare ed allungarsi, inoltre saranno inaugurate tutte le attività da me molto attese e che fino a questo momento risultavano inattuabili. Quando l’orario di attività finisce il sole è ancora alto nel cielo: già questo cambia radicalmente la mia attitudine nei confronti della giornata, in quanto riesco a trovare il tempo per qualche giro nei dintorni prima del tramonto, anziché dover tornare subito a casa per preparare la cena ed il necessario per il giorno successivo.
È ormai giunta al termine la stagione buona per la piantumazione dei ginepri, così come la pulizia dei terreni volta alla prevenzione degli incendi: questo era il lavoro più duro svolto nei primi mesi a Palombar, sempre in compagnia di un team composto da due ragazzi poco più grandi di me, nati e cresciuti nel Planalto portoghese, perfettamente inseriti nel contesto rurale che abitano, capaci di una manualità fuori dall’ordinario ed in grado di utilizzare con grande padronanza tutti gli attrezzi che si trovano nel grande magazzino dell’associazione. Mai una volta li ho visti di malumore e riescono addirittura ad essere un antidoto contro le giornate no, nonostante durante i turni effettuati con loro si debba faticare non poco. Un universo di differenza rispetto alla realtà lavorativa veneta a cui purtroppo ero abituato, pregna di stress e malumore che veniva espresso durante tutta la giornata.
Altra iniziativa che ha avuto il via durante il mese di marzo è stata quella di JAT (Junto à Terra): un’attività di sensibilizzazione e di educazione ambientale rivolta ai ragazzi delle scuole superiori, in collaborazione con altre associazioni che insieme a Palombar hanno istituito laboratori interattivi rivolti agli studenti. Una grande occasione per conoscere altri addetti ai lavori, facenti parte di altre realtà, e luoghi incantevoli che costituivano il contesto di questa iniziativa.
Iniziano anche i censimenti della fauna selvatica. Accompagno spesso i responsabili a svolgere il censimento della pernice: imparo ad effettuare i transetti, marcare i punti nel GPS, riconoscere i canti di diverse specie di uccelli. Anche le levatacce più difficili sono ripagate dalle nuove preziose nozioni che sto apprendendo, oltre agli stupendi paesaggi illuminati dall’alba ed alle specie più elusive che a quell’ora si fanno vedere più facilmente.
Di enorme interesse da parte mia è stata anche la somministrazione dei questionari rivolti agli allevatori riguardo alla loro percezione della fauna selvatica, attività in cui ho accompagnato un collega che si occupa di seguire le pubblicazioni scientifiche e le tesi di laurea degli studenti universitari. Sicuramente l’attività più stimolante svolta fino a quel momento, perché oltre ad essere perfettamente inerente ai miei interessi mi ha permesso di interagire con le persone del luogo e di confrontarmi con loro su argomenti particolarmente sensibili, dato che riguardano la protezione della fauna selvatica ed allo stesso tempo il loro modo di guadagnarsi da vivere, in un contesto molto complesso per entrambi questi temi. Le istituzioni, infatti, non sembrano essere particolarmente preoccupate né riguardo alla conservazione, né di fornire i mezzi appropriati agli allevatori ed agli agricoltori per poter svolgere proficuamente il loro lavoro in modo sostenibile. Mi rendo conto tramite le risposte ai questionari che c’è una grande barriera di ignoranza da scavalcare, alimentata da leggende senza fondamento che si tramandano da anni e dall’ottusità tipica del mondo rurale nei confronti dei punti di vista diversi. Ma è proprio questa la sfida ultima che deve fronteggiare l’attività dell’associazione, pertanto torno da questo lavoro per nulla scoraggiato, ma anzi stimolato ed ispirato.
Si fanno più frequenti e più lunghe anche le passeggiate lungo il Rio Angueira, il fiume che scorre di fianco ad Uva, la minuscola aldeia in cui abitiamo. Mi rendo conto che dopo aver rinvenuto e filmato le lontre che abitano il fiume a pochi passi da casa, gran parte del mio tempo libero è stata indirizzata verso l’esplorazione di un tratto di fiume relativamente piccolo, ma che per me ha molto da offrire. Ma proprio a causa di questa abitudinarietà volta al voler conoscere a fondo la zona, dopo tre mesi passati qui realizzo che ancora non ho mai percorso tanti dei sentieri che si diramano dall’aldeia, per quanto piccola: se da una parte questo mi dispiace, dall’altra sono estremamente contento di vivere in una zona che mi riesce ad offrire così tanti stimoli. Questa area ci era stata descritta come un paesino in mezzo al nulla. Per quanto mi riguarda non poteva esistere definizione più erronea: solo agli occhi meno attenti e con una capacità di osservazione nulla può sfuggire tutta la ricchezza che caratterizza questa regione. Se si amano i contesti rurali, più che in mezzo al nulla, semmai si può dire che ci troviamo in mezzo a tutto: no meio de tudo.
Dopo parecchi giorni di tempo incerto e rovesci, nel giorno di Pasqua un sole completamente inaspettato inizia a picchiare sulle bianche case di Uva ed i suoi pombais, le colombaie la cui preservazione sta all’origine della fondazione della mission dell’associazione Palombar. Noi volontari, insieme agli unici tre ragazzi rimasti nell’aldeia oltre a noi, improvvisiamo una caccia al tesoro a squadre per trovare le uova pasquali da noi precedentemente nascoste all’interno del villaggio, per poi servirle come dessert in seguito ad un pranzo collettivo. La sensazione di immobilismo e di mancanza di libertà di movimento data dall’isolamento del villaggio ora sembra annullarsi e ci troviamo a condividere questo momento tutti insieme, mentre i grifoni volano bassi intorno al villaggio, sopra alle nostre teste. Pasqua con chi vuoi. Per me questo si è sempre tradotto con un pranzo enorme tra parenti nella domenica e festeggiamenti con gli amici durante tutto il lunedì di Pasquetta. Penso ai ragazzi portoghesi che trasferendosi ad Uva hanno praticamente fatto una scelta di vita: quella di condividere occasioni del genere con altri ragazzi, quelli che sarebbero passati di lì attraverso l’associazione. È chiaro quindi che per loro questo detto assume tutt’altro significato. Ed io, con chi vorrei essere? Per quanto mi manchi la mia famiglia, non sento il bisogno vitale di essere con loro proprio in questo giorno, considerando la lunga esperienza che ho scelto di vivere lontano da casa. Dall’altra parte ci sono gli amici che ho lasciato a Vicenza, la mia città. E devo dire che cambiare aria, di tanto in tanto, è positivo. Avvertivo questa sensazione già nel momento della mia partenza a fine gennaio: la volontà di uscire dal contesto della mia città, che per quanto sia relativamente grande, tradisce una natura molto provinciale, in cui tutti conoscono tutti, ed alla lunga instaura un meccanismo quasi opprimente. Spesso le persone con cui mi sono trovato ad uscire non erano quelle con cui condividevo le stesse passioni, gli interessi, ma semplicemente quelle che per una serie di coincidenze si ritrovavano nel mio stesso contesto, instaurando poi la famosa logica della “compagnia”, realtà che ho sempre mal sopportato. La voglia di sottrarmi da questo era già molto sentita all’inizio. Mi ritrovo quindi a chiedermi quanto abbia potere il libero arbitrio in questi frangenti: se fuori da Uva la storia sia poi così tanto diversa. Pasqua con chi vuoi. E davvero, in Italia, è sempre stato così? Inizio a capire la scelta dei miei coetanei portoghesi. Mi chiedo di nuovo con chi vorrei essere in quel momento. Mi rendo conto che sì, se avessi la capacità di tele-trasportarmi in un luogo qualsiasi, tornerei sempre qui, ad Uva, a cercare le uova di Pasqua tra i muri a secco che circondano i pombais. Insieme ai ragazzi che da “semplici colleghi” di servizio civile ora sono diventati compagni di avventure, amici con cui confidarsi e sui quali contare, no meio de tudo.
Roberto Corvino
Volontario in Servizio Civile in Portogallo
Sede di Atenor