Sono qui a Máximo Paz da cinque mesi e se penso a dove ero un anno fa, faccio davvero fatica a realizzare di trovarmi dall’altra parte del mondo, in pieno inverno, quando di là in Italia si è ancora con l’estate addosso. Non ho avuto uno scontro tranquillo con questo Paese; ancora oggi sbatto il grugno con molta facilità su tutto quello che mi ritrovo davanti: la polvere (lei è la capofila e va messa per prima), le mille buste nere piene di regalini per i bimbi che bloccano il normale transito in salotto e l’uscita di casa, la fiammella della stufa a gas in camera che perde quotidianamente la sua battaglia con il vento forte fuori dalla finestra (portando con sé il gelo ad ogni mattino), senza dimenticare le continue stoccate dei tiri mancini del meteo ai quali non puoi far altro che adattarti senza alcuna possibilità di scelta. Con lui perdi regolarmente.
La mattina si alza presto, stacco la presa dal telefono, sempre un po’ troppo lontana dal mio letto, e fermo la sveglia. Vado avanti di cinque ore e scrivo a mia mamma che, tempo di fare colazione e darmi un tono, prometto di videochiamare. Si fanno le 8:30; Ilaria è tra le prime a svegliarsi e mi va di lusso perché di sicuro mi chiederà se voglio un po’ di caffè. Faccio per andare in bagno, ma Barbara sgattaiola prima di me in gran sordina. Sono le 9:00, ci si perde nelle prime chiacchierate con Ambra (lo ammetto, potevo andare in bagno, ma ho perso il mio turno). Alle 10:00 doccia, 10:30 zaino e, vestita in pieno stile michelin, esco di corsa verso il treno, raccattando all’ultimo un paio di scarpe da portare a uno dei bimbi che vedrò di lì a poco. Superato il cancelletto del giardino di casa guardo l’ora, realizzo che non ho più videochiamato nessuno e che il mio segnale del telefono prende sempre meno.
Non mi è mai capitato di vivere in un luogo con così tante ore di differenza da quello in cui sono cresciuta; l’arrivo in Argentina è stato abbastanza sconfortante per questo: non fai in tempo ad iniziare la tua giornata a scuola che in Italia son già passate le sei del pomeriggio e finisci per rientrare a casa che laggiù è quasi mezzanotte.
Insomma, il fuso orario è stato creato per tenere lontane le persone, non ci sono altre spiegazioni plausibili. Se poi in mezzo ci si mettono pure gli oceani, allora credimi, dovrai lottare parecchio per tenere vivi i rapporti. Qualcuno capirà, altri si offenderanno, altri ancora non si aspetteranno niente da te, perché non hanno mica ben capito cosa tu sia andata a fare, ma ti daranno comunque il contatto del loro amico Pablo che vive in Brasile così, se dovessi mai averne bisogno; figurati ancora quelli che non possono proprio sentire i tuoi lamenti dal momento che l’hai voluto tu, hai deciso tu di partire quando forse era il momento di mettere la testa a posto.
Se sei innamorata e hai una storia valida dovrai curarla, ma non basterà ripetersi che ce la farai, che se ci si ama si può tutto e che quindi ce la farete, perché 14000 km sono davvero troppi, cinque ore avanti o indietro ti uccidono e l’Oceano si prende tutto quello che è pronto a cadere, lo inghiotte e non se ne sa più niente. E sarò diretta: senza scomodare l’Università di Stanford posso assicurarti che le storie cadono quasi sempre con queste premesse.
Ma ti dico anche un’altra cosa (alla quale hai tutto il diritto di non credere, ma un giorno mi darai ragione): la scelta del servizio civile all’estero, che con questi presupposti vorresti ben evitare di prendere in considerazione, non puoi scartarla. Devi credermi davvero.
Avrai appena capito che stare a Máximo Paz ti porterà a riflettere, pensare, snocciolare questioni con le quali speravi di non doverti mai mettere a tavolino.
Questo è il diario quotidiano di cosa significa vivere in un luogo in cui la dimensione relazionale della casa assume molta più importanza di quanto ti aspettassi.
E tu, se sceglierai di andare a Máximo Paz e se ti selezioneranno perché avranno visto in te la giusta resistenza (a questi punti congratulazioni!), non perdere tempo nel chiederti perché abbiano preso proprio te (perché questo te lo domanderai più avanti in svariate occasioni) e armati di tutto ciò che pensi in fondo non ti serva. Non lasciare niente al caso.
Questa casa osserva silente la tua crescita all’interno del progetto; è testimone di pianti, porte che dal rumore inconfondibile descrivono bene il livello di stress o la voglia di intimità delle sue inquiline e sa già che quando il volume della musica è davvero esagerato senza che nessuno canti, significa che qualcuno deve essere proprio incazzato.
Vivere a Máximo Paz, rispetto ad altri progetti, significa starci dentro, ma la verità è che sei fuori da tutto.
Te ne renderai conto quando, di tanto in tanto, andrai a trovare i volontari della sede di Lanús (che ti capiterà di invidiare, è vero, ma non rinnegherai mai veramente la tua scelta) e lì realizzerai quanto sia diverso lo scenario in 50 km scarsi. Loro sì che vivono la vera city; non dimenticherò mai uno dei primi weekend di giugno. Ero qui da due mesi e avevo bisogno di rilassarmi, colgo al volo la chanchita (il treno a gasolio a cui ti affezionerai fin da subito) insieme all’invito di una delle volontarie di quella sede; è metà pomeriggio e trovarmi in un posto così diverso, con dei veri marciapiedi, le luci dei negozi e lo spazio culturale stesso in cui svolgono il servizio civile i ragazzi di Arte con Todos mi fa sentire così stranita, diversa. Eppure, io son cresciuta in città. Sono bastati due mesi nella piena provincia bonaerense, nella cornice del campo sconfinato che mi porta alla escuela 26, per farmi perdere l’aderenza con il contesto sociale ed urbano? Mi sa di sì.
L’intensità nel vivere in questo spazio è capace di farti perdere gli svincoli con il tuo passato; e se posso dirtela tutta, lo scenario della 26 è il più crudo di tutti, qui; ed è proprio per questo che spero tu possa finire laggiù. Devi cuocerti di fastidio.
Voglio che ti perdi nella terra schizzata per aria da qualche camionista sconsiderato, che sobbalzi nello sterrato fangoso dal dentro di una macchina che sai (prima o poi) ti lascerà a piedi nel mezzo del nulla, che tiri i sospiri di sollievo quando rivedere la ruta 205, ovvero l’asfalto, ti ricorderà che stai tornando a casa da qualcuno che saprà capirti e dai cui confronti imparerai molto, che respiri a pieni polmoni aspettando che la stessa strada ti riporti laggiù in mezzo al nulla, a quella polvere, nel barro, scappando verso qualcuno che non pretende di capirti e che c’è esattamente come c’era l’anno prima per chi li ha visti prima di te: quei bambini. Neanche l’incontro con loro sarà graduale, non sarai pronta al modo che avranno di relazionarsi con te, di parlarti della loro quotidianità. Non dimenticare di ricordarti dei loro occhi, certo, ma prenditi cura delle loro mani vissute e da qualche parte già molto stanche. Penserai di andare lì e farli studiare, imparare, avrai la presunzione di volerli mettere in ordine, ma non sapranno stare in fila senza qualche spintone neanche durante il sacro momento del saluto alla bandiera argentina. Ti insegneranno la disarmonia, la discontinuità, scoppierai a ridere nel vedere la loro faccia tosta quando ti diranno che è divertente picchiarsi e se non ti piace è perché non l’hai mai fatto bene veramente. A volte ti verrà d’istinto volerli tirare per le braccia e urlare, ma è questione di tempo; loro esagerano solo all’inizio, quello è il loro modo di testarti. Capire se sei una di loro o una delle tante. Poi li vedrai sparire e non capirai bene perché, ma quando a Máximo Paz scende il freddo, vivere all’aria aperta, spesso senza luce e senza acqua, è insostenibile. I più fortunati traslocano a casa di qualche parente con una sistemazione migliore e di qualcun altro non saprai quasi più niente fino a che non passerà bene l’inverno e tornerà un po’ di caldo a fare da padrone. Voglio che la tua adrenalina iniziale sia affossata dal tuo senso di onnipotenza e di impotenza insieme, che ti ritrovi a piangere senza capire bene il motivo e che ancora con gli occhi lucidi ti risvegli perché ti sei portata dentro al sonno le tue nuove giornate in cui non ti sai gestire. Devi trovare insopportabili tutti e sentirti la persona più comprensiva ed utile al mondo, ma quando Dalila ti ricorda che potresti anche evitare di buttare ulteriore spazzatura nel bidone stracolmo di cibo e che l’ultima persona che finisce il rotolo di carta igienica, lasciandolo in esposizione per giorni sul portasaponetta, non vince alcun premio, allora forse è ora di abbassare la cresta e poner el cuerpo.
Cerca la tua rottura iniziale, strilla la tua occidentalità, ma poi lasciala perché non interessa a nessuno e in fondo serve poco anche a te; impara a farti vincere dal fastidio, perché questo è il primo passo per scardinare il tuo senso di rivalsa su tutto quello che vedi e che ovviamente non sarai in grado di digerire all’inizio. Quanto più ti reputi una persona rigida ed organizzata, tanto più dovrai trovare la giusta elasticità. Buttali giù i tuoi bocconi amari e fallo alla svelta, ma impara anche ad apprezzarli, perché qui c’è chi che per un boccone farebbe a gara.
E quando poi ritorni a Máximo Paz dalle vacanze d’inverno e te li rivedi lì come li hai lasciati, i tuoi bimbi tutti disordinati con il guardapolvo abbottonato male, ti rendi conto di quanto quella classe ti sia mancata e con lei ogni singola istantanea del viaggio che ti porta fin lì.
Riconosci l’odore della Pampa, ti ritrovi in quel mix di sacro e profano, tra una Nuestra Iglesia del Jesús e un’insegna di cartone al lato con scritto Pancho a 30 pesos, cavalli sciolti che galoppano con un ragazzino della tua stessa scuola che, cavalcandoli a pelo, li dirige lontano dalla strada, pecore e mucche che ti bloccano il passaggio, cucciolate di maialini, capre, cani randagi, galline e le case che non ti sembreranno mai le stesse, ogni giorno per tutte quelle volte che le vedrai.
Qualunque viaggio verso la 26 sarà per te un’esperienza nuova, una dimensione parallela in cui perderti e, spesso, nasconderti. Più volte ti chiederai frignando se davvero stessi cercando proprio questo, che forse volevi altro; ma finirai per sentirti parte della comunità quando anche i fatti di cronaca cittadina rimbomberanno per le pareti di quella che sarà casa tua.
E quando smetterai di cercare continuamente le motivazioni che ti hanno permesso di arrivare fino a qui, allora vorrà dire che le hai raggiunte e ne troverai altre.
Non aver fretta di capire, non correre, ma non fermarti mai.
Elena Manzi
Volontaria in Servizio Civile in Argentina
Sede di Maximo Paz